Piove, dal primo mattino. E fa pure freddo. Niente Missile di Corso Unione Sovietica, sono costetta a muovermi con il tram. All'uscita dal lavoro riesco a prendere al volo il primo che passa, è stracolmo. Tutti gli scooteristi e i ciclisti oggi hanno lasciato i mezzi in garage e tutti usano i mezzi pubblici. Mi ritaglio un angolino tra una signora albanese che parla al cellulare con voce altissima e un pezzo di figliola nigeriana con le ciabatte e la giacca a vento imbottita con il collo di pelliccia. Davanti a noi è seduta una ragazza che potrebbe avere tra i 16 anni portati da schifo e i 22/23 che non si decidono a decollare. Ha i capelli vistosamente tinti di nero corvino, il trucco passato con mano esperta, è abbigliata con lo stile finto-trascurato-non-faccio-caso-a-come-mi-vesto-ma-solo-in-teoria. Spippola incessantemente sul display di un I-phone che costa quanto la metà del mio stipendio. Dopo un paio di fermate salgono tre controllori e cominciano a verificare i biglietti. Uno dei tre, il più anziano, arriva davanti alla ragazza. Biglietto, prego. Lei non alza gli occhi dall'I-phone e continua a spippolare. Biglietto, prego. Niente, non si muove niente escluse le dita sul display. Signorina? Mi fa vedere il suo biglietto? Lei, senza alzare lo sguardo dal telefonino risponde Non ce l'ho. Il controllore, un signore sulla cinquantina trascorsa, evita di fare sceneggiate o battutine, tira fuori il suo blocchetto e, a voce bassa ed educatamente, chiede un documento. Non ce l'ho. Lo sguardo non si è alzato dal display. Mi favorisce i suoi dati, per favore? Gli occhi si distolgono dal telefonino per un nano-secondo, le dita no. Mi chiamo Margherita Agnelli, abito in via dei capitalisti 69 a Montecarlo. Il controllore non si scompone, ne deve aver sentite tante, nella sua carriera. Signorina, per favore, non ho voglia di farmi prendere in giro da lei. Tira fuori il suo cellulare e compone un numero, lo sento parlottare a voce molto bassa con chi gli risponde poi ripone con calma il telefonino, riprende il blocchetto e, sempre con la massima calma, riprende: singorina, ci sono i colleghi della sicurezza che ci raggiungeranno tra due fermate. Adesso mi fa la cortesia di mostrare un documento oppure di darmi i suoi veri dati. Altrimenti tra due fermate scendiamo insieme, io e lei, e provvediamo all'identificazione. Ne vale la pena per dieci euro? La ragazza si rassegna a continuare a digitare con una mano sola. Con l'altra comincia a ravanare nella borsa alla ricerca del documento. Sono arrivata alla mia fermata, metre scendo la sento appellare il controllore Fascio di merda!
Il nostro è un povero paese il cui dittatore è l'illegalità. Illegalità dei rappresentati del governo di destra, per i quali essere indagato, condannato, inquisito non è un discredito ma una credenziale.Illegalità nella quale crescono i nostri figli: fatti furbo, copia il compito dal compagno di banco, se ti picchiano tu picchia più forte, quando vai con lo scooter tieni la targa alzata così non ti beccano con il velox. Testa di minchia non tu che viaggiavi senza casco, che all'alcooltest avevi hai superato il limite di tre volte, ma il poliziotto, il carabiniere, il vigile urbano che ti ha multato.
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E voi, che vi credete "di sinistra", credete di combattere questo sistema ricorrendo, in forme diverse, alla stassa illegalità. Un uomo che fa il suo lavoro è "un fascio". Chi cerca di far rispettare le regole, perché sulle regole è fondata la convivenza civile, è "un fascio". Chi la pensa diversamente da voi è "un fascio". E sparate quest'enormità, insieme a qualche occasionale molotov, perché alle vostre spalle c'è papà avvocato, consigliere, pezzo grosso che comunque vi copre le spalle e vi compra l'I-phone che costa quanto metà del mio stipendio di un mese.
Voi non siete di sinistra. Voi siete delle piccole merdine presuntuose più fasciste di quelle che chiamate fasci. Ve lo dice una che dorme con Che Guevara al posto della Sacra Famiglia.
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